Gender Gap: ancora più forte nei lavori del futuro
Il mondo del lavoro sta cambiando a un ritmo senza precedenti, questo è un dato di fatto, scosso anche da una pandemia che continua a destabilizzare molte professioni. Prospettive economiche e sociali instabili, esigenze di maggiore flessibilità e un inarrestabile processo di digitalizzazione, automazione e utilizzo dell’intelligenza artificiale. E gli effetti negativi si stanno riversando prevalentemente sulle donne, come ci fa notare il World Economic Forum, che sono spesso assenti dalle posizioni dirigenziali e sottorappresentate in molti settori.
Partiamo dal Covid-19: la crisi pandemica si è evoluta e, dall’aspetto sanitario, è passata a quello economico e occupazionale. Questa ha colpito maggiormente le donne e i loro posti di lavoro: basti pensare che in Italia, nel dicembre 2020, il 98% di chi ha perso il posto di lavoro, secondo i dati Istat, erano donne.
Allo stesso tempo, la pandemia ha accelerato in maniera significativa i trend di digitalizzazione e automazione del lavoro. Ed è qui che nasce il problema: le aree professionali in ascesa sono quelle STEM e digitali, le stesse in cui il gender gap è più significativo.
Quanto sono presenti le donne nelle aziende TECH?
Guardando alla classifica stilata da LinkedIn delle 25 professioni cresciute maggiormente negli ultimi 5 anni in Italia, si nota in modo evidente: solo il 23% delle posizioni in ambito STEM di questi 25 è occupato da donne, contro il 77% di uomini.
Anche Almalaurea nel rapporto tematico di genere “Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali” sottolinea il divario di genere: le laureate sono più intraprendenti e motivate, ma i laureati più occupati e pagati. Questo anche perché il gender gap inizia in realtà già nella scelta dei percorsi universitari in ambito STEM.
Le donne, infatti, sono solo il 35% degli studenti STEM nelle università e solo il 29,3% dei lavoratori nel settore della ricerca scientifica e dello sviluppo.
Insomma, le donne hanno meno accesso alle risorse produttive, all’istruzione, alla tecnologia, alla leadership, allo sviluppo di competenze e alle opportunità di lavoro in questi settori del futuro. Secondo le indagini dell’International Labour Organization, queste divergenze sono dovute principalmente a norme sociali che attribuiscono ruoli e stereotipi di genere difficili da sradicare.
Non solo, come dichiarato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “l’accesso completo e uguale alla scienza, alla tecnologia e all’innovazione per donne e ragazze di tutte le età è imperativo per raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne e delle ragazze”, ma potrebbe essere la soluzione (perfetta) alla crisi dei talenti a cui stiamo assistendo nel campo STEM, nel quale sono molte più le posizioni lavorative disponibili rispetto ai profili in grado di ricoprirle.
Assumere donne porta profitto
Infatti, se l’Europa riuscisse a raddoppiare la quota di professioniste donne in ambito tech, portandola a circa il 45% entro il 2027 (ovvero circa 3,9 milioni di donne in più rispetto ad oggi) potrebbe beneficiare di un aumento del PIL fino a 600 miliardi di euro (McKinsey&Company, report “Women in tech: The best bet to solve Europe’s talent shortage”).
Il report di McKinsey riporta i seguenti dati: solo il 38% dei laureati in materie STEM sono donne; il 22% delle persone con un ruolo tech sono donne; nelle posizioni più ricercate la quota di donne è pari all’8%. La domanda sorge spontanea: perché in Europa si fa così fatica a trovare talenti femminili per professioni legate alla tecnologia?
A livello Europeo, il percorso di formazione, dalla scuola primaria fino all’ingresso nel mondo del lavoro, ha due snodi fondamentali in cui i talenti femminili tendono a disperdersi: il primo calo significativo si verifica durante la transizione tra istruzione secondaria e l’università, quando la percentuale scende di 18 punti; il secondo durante la transizione dall’università all’ambiente lavorativo, quando scende di altri 15 punti. Le loro decisioni sono spesso influenzate da bias persistenti, ambienti di lavoro difficili (se non ostili) e pregiudizi di genere che subiscono fin da ragazze.
Come fare, dunque, per aumentare l’accesso delle donne nel settore tecnologico?
Anzitutto, occorre fornire alle donne gli strumenti giusti per poter avere la possibilità di affermarsi sul lavoro nel settore tecnologico. Secondo l’analisi condotta da McKinsey il numero di donne che ricoprono ruoli nel settore tech potrebbe aumentare di 480.000 persone, fino a raggiungere il milione, se le aziende fornissero alle donne il supporto necessario per crescere e affermarsi. Le aziende dovrebbero attuare un piano che affronti attivamente i punti dolenti e le esigenze delle donne: circa il 70% delle donne nel settore tecnologico, infatti, sente di dover lavorare più duramente e di dover dimostrare il proprio valore a causa del proprio sesso.
Un altro punto essenziale riguarda la flessibilità sul lavoro che deve essere migliorata: circa il 7% delle donne europee (contro lo 0,5% degli uomini) non lavora a causa delle responsabilità di caregiving, e questo – lo sappiamo – è un problema che riguarda tutti i settori lavorativi. Quasi 1 donna su 4 attribuisce alla mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata la ragione principale (o comunque tra le principali) per cui ha deciso di lasciare la carriera nel settore tecnologico, un settore che forse più di altri, per l’ambito in cui opera, dovrebbe sentire la responsabilità di farsi promotore di programmi di lavoro a distanza o quantomeno ibridi ed orari di lavoro flessibili.
Gender gap anche nei ruoli di leadership
Da non sottovalutare il dato secondo cui oltre la metà delle donne che lavorano nel settore tecnologico lo abbandonano a metà carriera, più del doppio degli uomini. Il risultato? Molte meno donne raggiungono ruoli di leadership.
Oltre ad analizzare e comprendere le motivazioni dietro a questa scelta radicale, occorre fare in modo che le donne abbiano accesso a ruoli tecnologici rilevanti. Sono molte di più le donne che lavorano nei ruoli tecnologici che stanno subendo un declino, piuttosto che quelle assunte e formate con lo scopo di ricoprire quei ruoli che sono in crescita e stanno acquisendo sempre maggior importanza non solo nel mercato, ma anche nella società.
L’ultima delle proposte avanzate da McKinsey, si propone di potenziare la partecipazione delle donne alle materie STEM all’università, non tanto incentivando le iscrizioni, ma piuttosto fornendo invece programmi di sostegno alle donne che già frequentano corsi universitari STEM. Iniziative come maggiori e migliori opportunità di tirocinio oppure come servizi di mentoring e coaching alle donne che si preparano a entrare nel mondo del lavoro, possono aiutare ad aumentare il numero di donne che completa il percorso universitario nelle discipline STEM e, di conseguenza, la loro presenza nel settore tecnologico.
António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, commenta: “Tutti possiamo fare la nostra parte per liberare l’enorme talento inutilizzato nel nostro mondo, a partire dal riempire le aule, i laboratori e le sale riunioni con scienziate”. E se vogliamo smettere di considerare le donne nei settori tecnologici come dei panda in via d’estinzione, è necessario che ognuno cominci a fare la sua.
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